Talvolta si confonde la definizione di duttilità con quella di fattore di struttura, che, anche se concettualmente legate, sono molto diverse.
Indirettamente, già abbiamo discusso dell’uso che si fa del fattore di struttura nell’articolo dedicato agli spettri agli stati limite (I “tormentoni della normativa”: Stato Limite di Danno più gravoso dello Stato Limite Ultimo?), ma cos’è in realtà quel “q”?
Per studiare il comportamento di un edificio facciamo ricorso agli oscillatori semplici a comportamento elastico. Ma quindi progettiamo la struttura affinché rimanga sempre in campo elastico? No. Nella progettazione agli Stati Limite ammettiamo che la struttura possa deformarsi, anche permanentemente, sotto azioni di notevole entità; l’importante è che non si arrivi al crollo. Ammettiamo, quindi, che rimanga in campo elastico per una certa quota parte dell’azione sismica, affidando alle sue capacità deformative in campo plastico, quindi la duttilità, l’onere di sopportare la parte restante. E’ evidente che, in caso contrario, la progettazione sarebbe estremamente onerosa, richiedendo di far rimanere la struttura in campo elastico anche per le azioni più eccezionali.
C’è quindi una differenza rispetto all’oscillatore semplice di tipo elastico: la massima forza che sopporterà il nostro edificio sarà più bassa. Nella figura che segue è rappresentato il comportamento di un oscillatore semplice di tipo elastico, la forza massima che deve sopportare e la conseguente energia assorbita rappresentata con l’area di colore rosso:
A questo punto il ragionamento è semplice: se vogliamo che il nostro edificio sopporti un’azione minore, affinché possa essere considerato equivalente all’oscillatore deve assorbire la stessa quantità di energia (il principio di conservazione dell’energia torna più e più volte in aiuto all’ingegnere, basti penare ad esempio alla linearizzazione della curva di capacità in un’analisi pushover); questo vuol dire che procediamo sullo stesso ramo fino a quando la struttura rimane in campo elastico, poi deve succedere qualcos’altro. Vediamo quanto detto nella figura seguente:
Notiamo un comportamento diverso: minore resistenza massima, ma uguale dissipazione; questo vuol dire che quanto più è basso il valore di Fy tanto maggiore deve essere la duttilità dell’oscillatore equivalente.
Adesso facciamo qualche ragionamento sulle aree, le quali abbiamo capito che rappresentano energia. Dovendo eguagliare le energie ci basta allora eguagliare le aree:
Considerando che la forza massima sta alla forza al limite di snervamento come lo spostamento massimo sta allo spostamento al limite di snervamento, possiamo scrivere:
A questo punto introduciamo il fattore di struttura q, che abbiamo detto essere il valore per il quale dividiamo la forza massima per ottenere la forza al limite di snervamento, ovvero il fattore di struttura è proprio il rapporto tra:
Ricordiamo anche che:
Sostituendo nella terzultima abbiamo:
Ovvero:
Adesso introduciamo la “duttilità richiesta” μ, definendola come il rapporto tra lo spostamento ultimo e lo spostamento al limite di snervamento:
Sostituendo:
L’ultima espressione racchiude in sé tutta la differenza tra duttilità e fattore di struttura; abbiamo una struttura capace di offrire una duttilità pari a 5, allora possiamo dividere le forze sismiche agenti su di essa di 3 volte, ovvero:
Questa espressione va bene per strutture con periodo basso. Nel prossimo articolo spiegheremo in breve cosa accade invece nel caso di strutture con periodo molto alto.
Adesso sapete bene a cosa ci si riferisce quando si dice che, ad esempio, una struttura ad EBF con Kr e Kd unitari ha fattore di struttura di progetto pari a 6. Ed è tutto per questa volta.
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Francesco Salvatore Onorio
siete grandi!ora mi è chiaro!
[…] fattore di struttura a partire dalla duttilità disponibile (per oscillatore rigido si veda: “Fattore di struttura e duttilità: sono la stessa cosa?” e gli esperimenti di Newmark sugli oscillatori […]