Torniamo a parlare di isolamento continuando un percorso iniziato con un excursus storico sul tema (“Isolamento sismico: le tappe storiche dal 1266 ad oggi“) ed una rassegna delle tipologie di controllo della risposta di una struttura (“Tipologie di difesa dalle azioni sismiche: controllo attivo, semi-attivo, passivo, ibrido“).
L’argomento riscuote sempre più interesse nel nostro paese ed aumentano sempre più le applicazioni basate su questi sistemi, vi è poi sempre maggiore interesse da parte della comunità scientifica e le riviste di sismica si soffermano sempre più su questi temi (“Consigli per gli acquisti: la nuova rivista “Progettazione Sismica” della IUSS Press“).
Nell’articolo che segue ci soffermiamo sul controllo passivo della risposta, in particolare sui vari dispositivi di isolamento sismico, suddivisi in due macro-categorie: elastomerici ed a scorrimento.
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Tipologie di dispositivi e sistemi di isolamento
Prima di passare in rassegna le varie tipologie di isolatori sismici oggi disponibili, vediamo quali sono le caratteristiche fondamentali che ogni sistema deve possedere:
- funzione di appoggio, ovvero capacità di sostenere i carichi verticali (sia in condizione non sismica che in condizione sismica);
- deformabilità elevata (o bassa resistenza) in direzione orizzontale sotto azione sismica;
- capacità dissipativa;
- adeguata resistenza nei confronti dei carichi orizzontali non sismici (vento, traffico, …);
- capacità di ricentraggio in seguito all’azione di un’azione orizzontale, in modo da avere spostamenti nulli al termine del ciclo.
Non meno importanti sono:
- costi contenuti;
- limitato ingombro;
- facilità di installazione, sia per edifici realizzati ex-novo che per interventi di adeguamento sismico;
- durabilità, per evitare che il degrado della gomma o del dispositivo in generale possa alterare la risposta della struttura.
La scelta del sistema di isolamento deve essere ponderata anche in funzione dell’obbiettivo prestazionale ricercato; possiamo individuare tre tipi:
- minimizzare il taglio alla base della struttura, realizzando un maggiore disaccoppiamento del moto, in modo da scaricare maggiormente la parte al di sopra dell’isolatore;
- minimizzare lo spostamento alla base della struttura, in quanto l’edificio da isolare può essere inserito in un contesto che potrebbe far temere martellamenti tra strutture;
- minimizzare le accelerazioni di piano ad alte frequenze; che è un requisito importante per la protezione del contenuto.
Come vedremo, alcuni sistemi riescono a soddisfare bene alcuni dei requisiti suddetti, mentre risultano deficitari in altri.
In generale possiamo individuare due gruppi di isolatori:
- elastomerici;
- a scorrimento.
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Isolatori elastomerici
Gli isolatori elastomerici basano il loro comportamento sulla deformazione della gomma impiegata. Sono caratterizzati dall’alternanza di strati di elastomero e lamierini di acciaio solidarizzati mediante processi di vulcanizzazione a caldo.
La presenza dei lamierini è fondamentale, in quanto consente di confinare l’elastomero limitandone la deformabilità verticale a pochi millimetri (1-3 mm). Gli spessori sono molto piccoli, in genere:
- strati di elastomeri: 5-20 mm;
- lamierini: 2-3 mm.
Figura 1.1 – Isolatore elastomerico
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Generalmente i lamierini sono più corti rispetto agli strati di gomma, in modo da risultare completamente inglobati in questi ultimi ed essere protetti dalla corrosione.
In realtà i primi isolatori erano di tipo non armato, privi quindi dei lamierini; questo dava luogo ad elevate deformabilità verticali che causavano lo spiacevole effetto rocking, cioè un moto rotatorio con asse orizzontale.
Molto importanti sono anche le caratteristiche della gomma impiegata; in base ad essa possiamo individuare due tipi di isolatori:
- isolatori elastomerici in gomma naturale;
- isolatori elastomerici in gomma sintetica.
Dal punto di vista della chimica la gomma è un idrocarburo descritto dalla formula (C5H8)n. Il C4H8 è chiamato isoprene e la gomma naturale è costituita da sequenze regolari di isoprene disposte in maniera tale da configurare una catena con caratteristiche di elevata elasticità.
Nella gomma naturale ci sono pochi collegamenti tra le catene e quando vi è l’azione di una forza esterna tali catene si allungano fino a rompere i collegamenti. Macroscopicamente si ha che il materiale subisce deformazioni tali da poter sopportare grandi spostamenti, almeno fino alla rottura dei link suddetti. Con specifici trattamenti si possono creare ulteriori collegamenti.
Figura 1.2 – La formula di una molecola di isoprene (a sinistra) e la struttura di una catena di molecole (a destra)
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Gli isolatori elastomerici in gomma sintetica si basano invece sull’impiego di neoprene – anziché isoprene. Il neoprene è la denominazione commerciale scelta dall’azienda produttrice DuPont Performance Elastomers; inizialmente, infatti, il nome scelto era DuPrene (1932).
Rispetto alla gomma naturale il neoprene gode di svariati pregi, come le maggiori capacità ignifughe, impermeabilità ai gas, è inoltre meno incline all’invecchiamento, ecc.
Indipendentemente dalla gomma impiegata, naturale o sintetica, possiamo avere isolatori elastomerici con gomma a basso o elevato smorzamento. La gomma, infatti, sia essa naturale o sintetica, possiede capacità smorzanti non elevate che vanno quindi opportunamente incrementate. Possiamo allora avere:
- isolatori elastomerici a basso smorzamento (Low Damping Rubber Bearings – LDRB);
- isolatori elastomerici con inserto in piombo (Lead Rubber Bearings – LRB);
- isolatori elastomerici ad elevato smorzamento (High Damping Rubber Bearings – HDRB).
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Gli isolatori elastomerici a basso smorzamento, come detto, possono essere ottenuti sia con gomma naturale che con neoprene. Entrambi i tipi di gomma hanno proprietà molto stabili e non esibiscono il fenomeno di creep per carichi di lunga durata.
Il comportamento esibito è sostanzialmente elastico al crescere della deformazione e presentano uno smorzamento dell’ordine del 2-4%, motivo per il quale si parla di isolatori a basso smorzamento.
Questo tipo di isolatori presenta molti vantaggi, come ad esempio:
- produzione semplice;
- bassi costi di produzione;
- proprietà meccaniche indipendenti dalla temperatura e dall’invecchiamento.
L’unico svantaggio è rappresentato dal basso valore dello smorzamento ed i non piccoli spostamenti per carichi azioni orizzontali di esercizio (come il vento), motivo per il quale è opportuno aggiungere sistemi ausiliari.
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Gli isolatori elastomerici con inserto in piombo furono inventati in Nuova Zelanda nel 1975 e sono stati usati diffusamente in Nuova Zelanda, Giappone e Stati Uniti.
I dispositivi LRB sono simili ai LDRB, ma contengono uno o più inserti di piombo in un foro posto al centro dell’isolatore. La funzione dell’inserto è di dissipare energia mediante snervamento.
Figura 1.3 –Isolatore LRB
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Il legame costitutivo forza-spostamento è di tipo bilineare ed il comportamento è funzione della combinazione di gomma e nucleo, quindi combinazione, rispettivamente, di comportamento elastico lineare tipico degli appoggi elastomerici e comportamento elasto-plastico dovuto al nucleo in piombo.
Il regime deformativo cui è sottoposto l’inserto è di tipo tagliante grazie al confinamento dovuto alle piastre d’acciaio. Lo smorzamento viscoso equivalente associato ai cicli di isteresi del dispositivo è compreso tra il 15% ed il 35%. Dal confronto fra i cicli di isteresi fatti registrare per isolatori LRB e LDRB si nota come l’energia dissipata sia maggiore per il primo, il quale mostra anche maggiore rigidezza.
Figura 1.4 – Diagrammi forza-spostamento per LRB e LDRB
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La rigidezza e l’energia dissipata diminuiscono progressivamente al diminuire del numero di clici, fino a stabilizzarsi dopo 10-15 cicli. In genere, però, le proprietà vengono ripristinate velocemente già dopo qualche giorno. Il motivo risiede nel surriscaldamento del nucleo per cicli ripetuti a distanza di tempo ravvicinata.
Gli isolatori elastomerici ad elevato smorzamento consentono di avere smorzamento sufficiente ad eliminare la necessità di dispositivi ausiliari; gli HDRB, quindi, costituiscono un sistema completo.
L’elevato smorzamento si ottiene aggiungendo speciali cariche additive alla gomma, come il nerofumo (carbon black) ed il silicio, grazie alle ricerche fatte dalla Malaysian Rubber Producers’ Research Association (MRPRA).
L’impiego di cariche additive consente di raggiungere uno smorzamento variabile tra il 10% ed il 20% in corrispondenza di una deformazione del 100%.
Osservando un diagramma forza-spostamento notiamo una maggiore rigidezza iniziale, che consente di fronteggiare i carichi di esercizio (come il vento), una rigidezza minore e costante per un certo tratto ed un conseguente incremento della stessa per carichi elevati (in modo da evitare deformazioni eccessive).
Figura 1.5 – Diagramma forza-spostamento per HDRB
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Generalmente, quindi, viene esibito un comportamento non lineare con elevata rigidezza iniziale e smorzamento per deformazioni taglianti inferiori al 20%. Nel range 20-120% di deformazione a taglio il modulo si mantiene basso e costante. Per deformazioni elevate il modulo cresce grazie al processo di cristallizzazione della gomma, che si accompagna a dissipazione di energia.
Il comportamento esibito non è né linearmente viscoso né elasto-plastico. Nel primo caso, infatti, la dissipazione di energia è quadratica nello spostamento, mentre nel secondo caso è lineare nello spostamento. I diagrammi forza-spostamento, invece, mostrano che la dissipazione è proporzionale allo spostamento elevato a 1.5.
Inoltre, come dimostrato da una serie di test eseguiti da J. M. Kelly et al. nel 1985, l’elevato smorzamento consente di ridurre le vibrazioni ambientali; gli isolatori, infatti, fungono da filtro per le vibrazioni ad elevate frequenze dovute al traffico.
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Isolatori a scorrimento
Un sistema di isolamento basato sul puro scorrimento è la più semplice ed antica soluzione impiegabile. Le prime applicazioni risalgono alle civiltà greche, cinesi e peruviane, ma il primo vero dettagliato progetto di isolamento sismico viene attestato al dottore inglese Johannes Avetican Calantarients, nel 1908. Il suo sistema aveva infatti ogni elemento oggi ritenuto indispensabile per applicare isolare gli edifici.
Anzitutto gli isolatori a scorrimento possono essere di due tipi:
- unidirezionali, generalmente impiegati per i ponti;
- multi direzionali, generalmente impiegati per gli edifici.
Nella loro forma più semplice gli sliding devices (SD) sono costituiti da due dischi di diverso diametro che scorrono l’uno sull’altro. I materiali impiegati sono scelti in modo da poter sviluppare una bassa resistenza d’attrito.
I materiali più impiegati sono l’acciaio lucidato inossidabile ed il PTFE (Teflon).
Il coefficiente di attrito dinamico risulta essere compreso tra il 6% ed il 12%, ma si riduce all’1-2% in caso di lubrificazione. Tale coefficiente è però funzione di alcuni aspetti, come:
- pressione di contatto (variazione lineare del coefficiente con la pressione);
- velocità di scorrimento;
- temperatura;
- usura.
A causa della variabilità del coefficiente e delle incertezze sulle condizioni ambientali (temperatura, umidità, pulizia) si decide generalmente di trascurare la dissipazione di energia per attrito. Questa considerazione è importante in quanto si fa allora ricorso a dispositivi lubrificati, quindi si azzera quasi il coefficiente di attrito dinamico rinunciando all’azione resistente esplicata. In pratica, vengono lasciati liberi gli spostamenti.
Per i motivi appena esposti, i dispositivi a scorrimento non vengono mai impiegati da soli, a meno che non presentino elementi in grado di:
- aumentare la rigidezza iniziale e fornire capacità dissipative;
- fornire capacità di ricentraggio.
Gli unici isolatori a scorrimento che incorporano la funzione ricentrante e dissipativa, senza l’aggiunta di altri elementi, sono quelli con superfici di scorrimento curve. Un noto sistema di questo tipo è quello che si basa sul pendolo ad attrito (Friction Pendulum System – FPS); alla forza laterale si oppone la forza di attrito dovuta ad una superficie che scorre sull’altra.
La funzione ricentrante è data ovviamente dalla superficie curva, la quale consente di far tornare in posizione il dispositivo quando cessa l’azione esterna. Il carico verticale, infatti, da luogo ad una componente nella direzione tangenziale alla superficie sferica consentendo al dispositivo di riaccentrarsi. La funzione dissipativa la si ha grazie ad una superficie non lubrificata, quindi ad un attrito non azzerato.
La scelta della curvatura non è casuale, perché ad essa è legata la rigidezza del dispositivo e, quindi, il periodo di vibrazione della struttura isolata (il periodo è inversamente proporzionale alla rigidezza). A tal proposito è importante notare come si riesca ad avere una rigidezza iniziale maggiore grazie all’attrito statico: la forza laterale necessaria per mettere in moto il dispositivo è maggiore di quella necessaria per far continuare il moto.
Figura 1.6 – Schema di un dispositivo ad attrito
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Un vantaggio di questi dispositivi risiede nella bassa manutenzione. Il Teflon protegge in maniera efficace la superficie dalla corrosione. Inoltre, considerato che lo scorrimento lo si ha solo durante un terremoto, il Teflon può durare per tutta la vita utile di progetto. Invecchiamento e variazioni di temperatura influenzano pochissimo le proprietà meccaniche.
Come detto, il periodo è legato al raggio di curvatura mediante la relazione:
Lo smorzamento viscoso equivalente x dipende dal coefficiente di attrito m, lo spostamento D, il raggio di curvatura R; nella condizione di massimo spostamento si ha:
Dalla relazione risulta evidente che lo smorzamento viscoso equivalente aumenta all’aumentare del periodo e del coefficiente di attrito, ma è anche importante che l’attrito non sia eccessivo, altrimenti il sistema si blocca prima di poter tornare al centro. E’ infatti necessario uno spostamento pari ad almeno mR. Alla luce di queste considerazioni, il massimo smorzamento che si può avere è intorno al 20%.
Un altro vantaggio di questo sistema risiede nella maggiore possibilità di poter scegliere lo smorzamento desiderato, grazie alla semplice variazione del coefficiente di attrito, oltre che all’ottimo controllo del periodo T.
Una recente variazione del pendolo ad attrito è costituita dal doppio pendolo ad attrito (Double Concave Friction Pendulum – DCFP). In questo caso si hanno due superfici di scorrimento anziché una, come si può vedere dall’immagine che segue:
Figura 1.7 – Schema di un dispositivo a doppio pendolo
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Il vantaggio del doppio pendolo risiede nel fatto che con la stessa azione laterale si può avere uno spostamento doppio. Nel caso in cui le superfici abbiano un coefficiente di attrito diverso il dispositivo comincia a scorrere sulla superficie che offre minore resistenza, per poi mettersi in moto anche sull’altra.
In seguito ad uno spostamento la forza ricentrante è data dalla relazione:
dove W è il carico verticale sul dispositivo, h1 e h2 sono le altezze parziali e u è lo spostamento totale.
La forza d’attrito è invece data da:
Nella maggior parte delle applicazioni di DCFP i raggi di curvatura delle due superfici sono uguali.
Figura 1.8 – Un doppio pendolo nel suo massimo spostamento
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Un terzo tipo di isolatori a scorrimento è costituito da quelli in acciaio-PTFE lubrificati a superficie piana. In questo caso manca la capacità ricentrante, quindi è necessario aggiungere un dispositivo ausiliario.
Molto diffuse sono anche le soluzioni in gomma, con dispositivi elastomerici che possono fungere sia da dispositivi ausiliari che da isolatori veri e propri. Nel caso in cui i dispositivi in gomma vengano impiegati come isolatori si ottengono delle soluzioni ibride elastomeri-scorrimento. I vantaggi consistono in bassa rigidezza (periodo lungo), con notevoli abbattimenti degli effetti del sisma – anche quando la massa strutturale competente a ciascun isolatore è limitata – e buone capacità ricentranti, senza l’utilizzazione di dispositivi ausiliari.
Nel caso in si adotti una soluzione mista isolatori in acciaio-isolatori elastomerici bisogna fare attenzione agli spostamenti differenziali verticali in corrispondenza dei vari isolatori, sia per carichi verticali non sismici che sismici. Il rimedio consiste nell’adottare dispositivi elastomerici con elevata rigidezza ai carichi verticali. Qualora si vogliano evitare questi problemi è possibile non assegnare carichi verticali agli isolatori in gomma ed impiegarli sono come dispositivi ausiliari.
Alternativamente alle soluzioni in gomma, è possibile adottare dispositivi basati sullo snervamento dell’acciaio, deformazione a taglio del piombo, con pistoni, ecc.
Di seguito è riportata una scheda riassunta con vantaggi e svantaggi dei vari sistemi trattati:
TIPO DI ISOLATORE |
VANTAGGI | SVANTAGGI |
ELASTOMERICO | – Basse accelerazioni di piano; – Costo ridotto. |
– Spostamenti elevati; – Basso smorzamento; – Scarsa resistenza al carico di servizio; – Momenti P-D alla base ed alla sommità. |
ALTO SMORZAMENTO | – Moderate accelerazioni di piano; – Resistenza al carico di servizio; – Moderato-alto smorzamento. |
– Rigidezza e smorzamento dipendenti dalle deformazioni; – Analisi complessa; – Limitata scelta di rigidezza e smorzamento; – Momenti P-D alla base ed alla sommità. |
CON PIOLO IN PIOMBO | – Moderate accelerazioni di piano; – Ampia scelta per rigidezza e smorzamento. |
– Momenti P-D alla base ed alla sommità. |
SCORRIMENTO CON SUPERFICIE CURVA | – Resistenza al carico di servizio; – Moderato-alto smorzamento; – Momenti P-D alla base ed alla sommità; – Riduzione della risposta torsionale. |
– Elevate accelerazioni di piano; |
SCORRIMENTO CON SUPERFICIE PIATTA | – Resistenza al carico di servizio; – Elevato smorzamento; – Momenti P-D alla base ed alla sommità. |
– Elevate accelerazioni di piano; – Proprietà funzione della pressione e velocità; – Assenza di forze di recupero. |
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Di seguito potete scaricare l’articolo completo in versione .PDF:
Tipologie di isolatori sismici
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Ing. Onorio Francesco Salvatore
Proprio in questi giorni avevo intenzione di comprare un testo sull’argomento… l’articolo è molto chiaro, complimenti. A quando un esempio numerico?
Grazie per l’apprezzamento Giacomo.
L’esempio numerico è attualmente solo in programma, ma appena avrò un po’ di tempo sarò lieto di scriverlo.
Saluti.
Complimenti per l’articolo, in vista dell’esame di “costruzioni in zona sismica” è un ottimo testo per approfondire le conoscenze!
Cordiali saluti
Grazie Matteo.
In bocca al lupo per il suo l’esame.
Mi associo anche io a tutti i complimenti x l’articolo,ma mi domandavo: la teoria dell’Isolamento alla base va in senso opposto a quella del Capacity Design che prevede la formazione del numero massimo di cerniere plastiche e la dissipazione dell’energia d’ingresso mediante il danno e la deformazione degli elementi strutturali; qui in teoria tutta l’Energia del sisma se la prenderebbe l’isolatore,che la dissiperebbe,in base alla tipologia, in attrito e deformazione,e la struttura soprastante si muoverebbe di moto rigido generando dunque scarse deformazioni e piccoli spostamenti.Oppure nn c’ho capito niente? Grazie x l’attenzione
@FULVIO
Si, è così. Le recenti tappe dell’ingegneria sismica sono state:
– Force Based Design: l’edificio assorbe l’energia del sisma mediante la propria resistenza in campo elastico;
– Displacement Based Design: l’edificio assorbe l’energia del sisma mediante resistenza e duttilità; l’escursione in campo plastico consente, mediante la formazione di plasticizzazioni, di sfruttare una riserva di resistenza prima non considerata. Affinché si possa sfruttare tale riserva, massimizzando l’escursione in campo plastico, la progettazione deve essere eseguita in un certo modo (individuando schemi con cerniere in tutte le travi, ovvero trave debole in pilastro forte);
– Base Isolation. La strategia in questo caso è completamente diversa: anziché far sopportare il sisma all’edificio, mediante un comportamento quanto più possibile virtuoso, si fa in modo che l’energia non gli arrivi proprio. Qui entra in gioco l’isolatore.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro.
Saluti.
Complimenti per la chiarezza.
Sono interessato alla tecnica “Base Isolation”
Da ingegnere alle tensioni ammissibili, e possesore di “Modest” mi chiedo come debba essere modellata la struttura al di sopra degli isolatori nel caso di Zona 1.
Quali azioni vanno immesse alla sovrastruttura e come modellare i vincoli alla base.
Le azioni alla base potrebbero servire alla FIP per dimensionare gli isolatori determinanando anche la loro escursione, oltre che diventare azioni per la sottostruttura questa volta dimensionata a sisma.
Ti sarei grato se mi fornissi qualche dritta essendo completamente a digiuno sull’argomento.
Grazie comunque.
@PIPPO
In poche righe di commento non è possibile sintetizzare la procedura di modellazione e calcolo se si vuole entrare nei dettagli. A grandi linee, invece, sostanzialmente cambia poco rispetto al progetto di una struttura a base fissa. I criteri di calcolo sono gli stessi, con l’aggiunta di alcuni step nuovi; ad esempio, deve anzitutto individuare il periodo obbiettivo della struttura isolata. Solitamente questo valore è 3 volte il periodo a base fissa, ma alcuni progettisti non scendono al di sotto di 3 sec (vedi Antonello de Luca e Gian Michele Calvi). Il calcolo è semplice e parte dalla relazione T= 2 π √(M/K) in cui l’unica incognita è la rigidezza. Questo valore lo ottiene mediante opportuna disposizione degli isolatori sismici. Tra l’altro, può modificare la posizione del centro di rigidezza rendendo regolare in pianta un edificio nato irregolare, con l’evidente vantaggio di avere i primi modi di vibrazione esclusivamente traslazionali ed evitare coppie torcenti.
Su questo argomento è in programma un articolo (sia .html che .pdf) in cui spiegherò, più o meno dettagliatamente, cosa fare. Appena ho un po’ di tempo a disposizione sarò lieto di dare una mano a chi non “mastica” ancora l’argomento.
Per la modellazione ti rimando ad una guida realizzata dal bravo Leonardo Bandini:
http://www.leonardobandini.it/materiale/BUILDUPEXPO_SEMINARIO.pdf
Anche se lascio un commento sotto un argomento che nn interessa il mio quesito spero che qualcuno mi risponda.Sono sempre lo stesso Fulvio del commento di prima:sono uno studente di Ingegneria Civile e mi sto preparando x l’esame di Tecnica delle costruzioni. Avrei bisogno di una tabella,o di un principio di ragionamento in cui posso trovare risolte le deformate di telai piani,soggetti a qualsiasi tipo di sollecitazioe,q verticali,orizzontali,rotazioni ai nodi ecc…Se avete qualche link interessante o qualche consiglio da darmi li accetterei volentieri.Grazie davvero x l’attenzione.
Buongiorno,
una domanda curiosa: come è possibile tecnicamente dotare di isolatori sismici una struttura già in posa? E a che costi?
gli isolatori elastometrici in gomma e lamierini, ogni quanto devono essere sostituiti?
Scusate le mie incursioni.Qualcuno saprebbe spiegarmi cosa s’intende “tenere conto degli effetti del secondo ordine” riguardo all’argomento SLU di Stabilità??Grazie
la domanda di Ermanno e quella di Lorenzo meritano una risposta, sono davvero interessanti e a mi avviso molto frequenti tra i neolaureati o tesisti vari del settore.
In attesa di una risposta vi auguro un buon week end.
ciao
buongiorno,
questa è la strada che si intende intraprendere per ogni tipo di struttura??
o rimarrà una tecnologia adatta solo per particolari costruzioni??
Grazie.
@LORENZO
E’ possibile isolare una struttura già esistente ed è anche un’operazione sempre più frequente. Le modalità sono diverse e dipendono dalla struttura (es: taglio nelle colonne in c.a., impiego di martinetti e successivo inserimento degli isolatori).
@ERMANNO
Tempi abbastanza lunghi, non c’è da preoccuparsi. La questione-tempo è invece sentita maggiormente dagli operatori del settore per gli isolatori ad attrito (es: a pendolo o a doppio-pendolo) in quanto si deve avere certezza che la polvere non influenzi le caratteristiche del dispositivo (quindi sia il tempo che l’ambiente divengono estremamente importanti).
@ROBERTO
Si, oggi si è orientati ad isolare ogni genere di struttura. Prima vi erano dei limiti, ad esempio gli edifici alti (perché già caratterizzati da un elevato periodo di vibrazione), ma l’attuale tecnologia li ha ampiamente superati (basta vedere le strutture isolate in Giappone).
@FULVIO
Per la leggibilità dell’argomento, costituito da articolo più commenti alla discussione, cerchiamo di rimanere in tema. Le domande che poni possono ottenere risposta in un qualsiasi testo di Tecnica delle Costruzioni. Grazie per la comprensione.
Salve, mi unisco anche io ai complimenti per la completezza dell’articolo e per la semplicità dell’esposizione… nettamente migliore di quella di un libro di testo!
Volevo chiedele una cosa: in caso di edifici pubblici in legno ad un solo livello, con partizioni esterne portanti (quindi struttura continua) e struttura puntuale all’interno, come ci si deve comportare? Premetto che l’edificio poggia su una platea di spessore 45-50 cm di cui 25 occupati da igloo.
La ringrazio
sono possessore di una villetta ad un piano + mansarda,dovrei sopraelevare di altri due piani.Da alcune argomentazioni mi è parso di capire che potrebbe essere più conveniente consolidare l’attuale struttura o fondamenta in modalità antisismica anzichè creare dei pilastroni esterni all’edificio che dovrebbero reggere tutta la nuova struttura.La sopraelevazione la farei in legno (tipo casa Rubner). Non ho compreso come tecnicamemte possa essere fatto l’isolamento sismico e quindi rafforzamento delle fondamenta.Grazie.
Ciao Giulio.
L’isolamento sismico NON è un rafforzamento delle fondamenta, è un sistema che permette di disaccoppiare il moto del terreno da quello della struttura (a rigore non è proprio esatta questa affermazione, sebbene riportata anche nei testi).
L’ipotesi dei pilastroni, probabilmente suggerita da qualche tecnico, è scomoda, antiestetica, costosa (a meno che non si tratti di un ambiente che ingloba un altro, vedi nuova UTIC di Napoli).
L’isolamento sismico – purtroppo sempre poco conosciuto rispetto alle sue potenzialità – costituisce una soluzione perfetta per questo tipo di interventi.
Altri dettagli non è possibile dare con i dati forniti. Occorre una presa in visione del progetto, dell’area in cui sorge, dei carichi in gioco, ecc.
Saluti.
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