Con questo articolo si inaugura una nuova rubrica del sito che ha l’intento di trattare determinati argomenti da un punto di vista più pratico e meno teorico facendo riferimento a cari reali. L’idea nasce da una considerazione semplice del sottoscritto: quali sono le informazioni che più ci rimangono impresse? Quelle studiate sui libri per un esame o quelle derivanti da esperienze dirette, sul campo. Beh, con i ritmi universitari spesso capita che quanto si è imparato per un esame veniva messo in un cassetto, magari passando dalla Tecnica delle Costruzioni all’Acustica Applicata, o dall’Analisi Limite delle Strutture alla Rappresentazione Urbana…
Ma veniamo al nocciolo della discussione senza perderci in chiacchiere. Il tema è l’analisi modale, uno dei più utili strumenti di cui lo strutturista si avvale nell’analisi strutturale. Sostanzialmente l’analisi modale è un problema di autovalori (ovvero le frequenze angolari) ed autovettori (ovvero le forme modali).
Possiamo immaginare una struttura come nascosta sotto un telo: non possiamo dire immediatamente come si comporta e quali sono i suoi punti deboli, possiamo sollecitarla in una determinata direzione e valutarne la risposta, ma è come tirare ad indovinare, perché ci potrebbero essere punti deboli che rimangono nascosti finché non vengono sollecitati. In questo ci viene in aiuto l’analisi modale.
Prendiamo ad esempio una struttura realmente realizzata, di cui, ovviamente, non daremo indicazioni su dove si trovi.
In pratica, trattasi di travi reticolari disposte diagonalmente rispetto ad una regolare pianta di base costituita da travi IPE 270. Per come è realizzata ci sono dei punti deboli in corrispondenza dei collegamenti tra uno shed e l’altro:
Questo aspetto non veniva valutato con attenzione dai progettisti per un motivo semplice: la copertura veniva caricata per intera, quindi gli impluvi a destra e sinistra portavano gli stessi carichi e la rotazione dello shed non appariva mai.
Quando la copertura veniva stata sottoposta ad una prova di carico, però, emergeva un comportamento fino ad allora inatteso; prima veniva caricato un impluvio per step successivi di carichi (250 kg, 500 kg, 750 kg, 1000 kg), successivamente l’altro, con il risultato di spostamenti molto elevati dei punti dell’impluvio stesso rispetto al corrente inferiore centrale.
Come si collega tutto ciò all’analisi modale? E come potevano i progettisti prevedere questa debolezza? (Beh, in realtà anche ad occhio sorgevano alcuni dubbi guardando il collegamento, ma fingiamo di essere disattenti…).
Bene, rispondiamo alle domande isolando un modulo di copertura e modellandolo al SAP2000:
La prima operazione che viene naturale fare è applicare i carichi di progetto agli shed:
Successivamente si controllano sollecitazioni e deformazioni, se è tutto ok le verifiche sono terminate e la struttura è realizzabile. Tutto finito? Possiamo andare a spendere i soldi che ci hanno dato per il progetto? E no. Altrimenti basterebbe una semplice e stupide macchina per fare il lavoro dello strutturista, mentre non è assolutamente così.
Vediamo cosa ci dice l’analisi modale:
Con un periodo di 0.71 secondi la prima forma modale risulta essere legata alla rotazione dei triangoli degli shed. Questa deformata non sarebbe mai comparsa senza fare l’analisi modale. O forse si? In realtà si, perché basta caricare in maniera asimmetrica una singola travata, ovvero concentrare i carichi solo su uno dei due impluvi, esattamente come fatto durante la prova di carico.
Per alcuni, come il titolare dell’officina esecutrice delle opere metalliche, può risultare assurdo caricare in questa maniera la struttura, d’altronde “la neve quando arriva cade su tutta copertura, mica sceglie dove andare”. Beh e cosa succede se si ostruisce uno degli scoli per l’acqua, con quest’ultima che si accumula da un solo lato degli shed? (Come effettivamente successo già durante l’esecuzione…).
L’ingegnere strutturista (e ripeto “ingegnere”, perché delle strutture se ne occupano gli ingegneri. Meglio sottolinearlo, soprattutto in questi giorni…) non può non tener conto di tutto ciò che possa accadere alla struttura durante la sua vita. Il ragionamento fatto, tra l’altro, non è tanto dissimile dai solai caricati “a scacchiera”.
Diamo qualche altra informazione sull’analisi modale: all’aumentare dell’importanza della forma modale aumenta il periodo (la prima avrà il periodo più alto, la seconda il secondo periodo più alto e così via…). L’espressione del periodo infatti è:
Quindi quanto più bassa è la rigidezza K tanto più alto è il periodo. Questo vuol dire che se una determinata direzione è meno rigida rispetto alle altre questa avrà un periodo di vibrazione più alto. Ci chiediamo: cosa succede se irrigidiamo gli shed in modo da impedire al rotazione degli stessi? Immaginiamo di montare ad esempio dei tubolari colleganti il colmo degli shed con le travi IPE di bordo (evidenziati in giallo nell’immagine seguente).
Cosa restituisce ora l’analisi modale?
La prima forma modale questa volta non è più rappresentata dalla rotazione degli shed ma bensì dalla traslazione nel piano orizzontale di tutta la copertura, con un periodo di 0.32 secondi.
Quali informazioni ci dà questo risultato? Ci dice che la rotazione degli shed è abbastanza evidente, soprattutto se si confrontano i periodi, e che un blocco a questi gradi di libertà sarebbe opportuno. Una maggiore attenzione in fase di progettazione avrebbe evitato spiacevoli scoperte in fase di prova di collaudo.
Ovviamente la reale deformata della struttura in seguito ad una sollecitazione è data dai contributi di ogni singolo modo di vibrare (anche se quelli significativi possono essere pochi, anche uno solo).
L’analisi modale, dunque, rappresenta uno strumento potentissimo di cui gli ingegneri sono forniti per eseguire le analisi strutturali. Purtroppo all’università si punta troppo all’essenza matematica del problema – comunque fondamentale, essendo la base da cui non si può prescindere – trascurando però, talvolta, gli sbocchi pratici.
Per questa volta è tutto. Ovviamente l’argomento è molto più complesso e per maggiori informazioni sull’analisi modale, qui trattata solo marginalmente e dal punto di vista pratico, si rimanda a testi specialistici, come ad esempio: “Analisi modale ragionata” di Paolo Rugarli.
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Di seguito potete scaricare l’articolo completo in versione .PDF:
Analisi modale ragionata – applicazioni reali 1
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Ing. Onorio Francesco Salvatore
Per chiarimenti, segnalazioni ed altro è possibile contattare l’autore a:
“trattare determinati argomenti da un punto di vista più pratico e meno teorico”
ciao,
sono uno studente di ingegneria quindi ancora acerbo per queste cose. ma come tu giustamente hai detto, la pratica è il riscontro della realtà non tralasciando la teoria che è fondamentale e alla base.
complimenti per questa iniziativa e spero che ce ne saranno altri di articoli del genere.
Alessandro
Complimenti per l’articolo… finalmente la teoria messa in paratica!
Grazie ad Alessandro e JeanMauro (con quest’ultimo che però è un amico e quindi i complimenti sono più scontati ;D).
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